BanditStaff
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# 1 ≡ [report] Slovenia e dintorni (lungo e riflessivo)
Questo è il report di un giro particolare... Un viaggio nello spazio e nel tempo, nato da alcune ispirazioni, di diversa natura.
Dall'amore per la storia della mia terra, e da un pizzico di curiosità.
Ho inforcato il rimorchiatore e, con entusiasmo e tranquillità, e ho puntato la prua sulla Slovenia... Precisamente sul valico di seconda categoria di Precenico (Duino Aurisina, Trieste).
La prima cosa che salta all'occhio è che nella guardiola lato italiano c'è solo un carabiniere, seduto.
Al solo accenno di mettere la mano nella tasca del giubbotto, questo sorride e fa cenno di proseguire. Terra di nessuno, e gabbiotto della polizia slovena. Tutto sprangato. Via, liscio.
Grazie, Europa.
Quand'ero piccino i graniciari yugoslavi osservavano minuziosamente gli speciali lasciapassare che avevamo e perquisivano la macchina, intanto che uno di loro teneva tutti sotto tiro con l'automatica.
Quand'era piccino mio nonno, quel valico non esisteva.
Mia figlia ha quasi 3 anni, tra poco quel valico non esisterà più.
Procedendo a velocità veramente turistica lungo una stradina stretta a 2 corsie, ma ben asfaltata, pennello le curve, immerso tra grandi vecchie querce e pini marittimi, che fanno da ombrello a distese di pietre.
Rimugino su queste mie considerazioni, leggendo sui cartelli gialli nomi di paesi scritti in sloveno, così familiari alla pronuncia a chi è nato da queste parti.
Ad ogni toponimo, ad ogni paesucolo corrisponde un cognome, talvolta italianizzato, talvolta in forma naturale.
Sono così preso a pensare, così rilassato, così in armonia col verde tutto attorno che quasi non mi accorgo di un motociclante locale, che mi viene incontro salutando con entusiasmo, quasi fossimo in dicembre sullo Stelvio... Rispondo al saluto, e mi riprometto di stare più all'occhio.
Passo, paese dopo paese, antichi casolari, muri a secco, fienili e pecore disseminate in quella steppa di vegetazione bassa e resistente che vive qui sul Carso.
Nessuna automobile, in nessuno dei due sensi.
Rallento ancora, e alla bassa velocità a cui procedo riesco a sentire il profumo dei ciclamini, che crescono sul fondo di quei grandi avvallamenti rotondi ed erbosi che prendono il nome di doline, simili a crateri di bombe, in mezzo alla pietraia carsica.
Arrivo all'abitato di Komin, quasi una cittadina... Ma che ritmo.
Lento, tranquillo, placido.
Case sparse, di pietra e legno, qualche inopportuno condominio a tre piani, sgretolato, in stile "Vecchia Yugoslavia"... Ecco a voi la splendida architettura del blocco Sovietico...
Vedo sulla destra dei bambini correre dietro a delle papere, sul bordo di uno stagno, chiaramente artificiale.
L'acqua non abita da queste parti... Quella che cade con la pioggia scivola veloce giù per i calcari, nelle grotte in fondo alle viscere di questa terra brulla.
Esco dal paese, e nuovamente appare il Carso.
La strada si fa più distesa, curve strettine ma raccordate in sequenza, nel saliscendi delle colline.
Alzo il ritmo, e per un po' perdo i pensieri, godendomi l'elasticità del motore della mia compagna di viaggio.
Alla fine di un bel rettilineo entro nel paese di Tupelce, famoso per una vecchia trattoria dove si mangia ottimamente e per poca lira cacciagione varia, e anche carne di orso, fin dalla notte dei tempi.
Ai margini laterali del paese viti, quasi a perdita d'occhio.
Nella piazzetta del paese, attraversata dalla strada che percorro, si scorge un capannone diroccato, con un'insegna che riporta, triste: Pepsi club.
Pezzi di un vecchio paese in mezzo a tratti di un antico borgo, il tutto affacciato verso l'Europa del 2000...
Passata la piazza il paese finisce, così com'era apparso.
I filari di vite fanno posto alle solite pietraie, alle doline ed al ginepro, dalle cui bacche si ricava un liquore, il Brignavec, che fa digerire anche i massi.
Incontro qualche macchina, ma non ne sorpasso manco una.
Macino chilometri nel niente, in mezzo alla landa carsica, intravvedendo qualche singola casa di pietra in mezzo alla vegetazione, qualche baracca isolata, i resti di vecchie automobili Zastava, oramai inghiottite dalle spine.
Qualche cartello sbiadito riporta scritte in sloveno e italiano, e mi viene da sorridere pensando che fino a meno di un centinaio di anni fa tutto qui era scritto in tre lingue: sloveno, tedesco ed italiano. Faceva parte tutto di un unica entità buona o cattiva che fosse.
E proprio su queste terre, che considero mie al pari di quelle dove abito, centinaia di ragazzi e di uomini hanno perso la vita in nome di questo o quell'ideale... Per poi arrivare ai giorni nostri, alle trattative a livello diplomatico e politico per l'ingresso di queste zone in Europa, nuovamente tutti assieme sotto lo stesso tetto, anche se non sotto la stessa bandiera.
Mi fermo per guardare le colline, e penso alla stupidità dell'uomo. Tanto rumore per nulla.
Il carso appartiene a se stesso, e permette a qualche uomo di abitarlo, aldilà della sua nazionalità e della sua lingua.
Riparto, a breve distanza dalla mia meta, San Daniele del Carso.
Ho saputo di questo paese su un libro, "Il gelso dei Fabiani", che sto leggendo in questo periodo, nel poco tempo che ho tra la famiglia, lo studio, il lavoro.
Sono curioso di confutare le cose che l'autore ha scritto, e vedere cos'è cambiato in quasi due secoli dall'ambientazione storica originale.
Curva dopo curva mi approccio ad un abitato vasto, di case palesemente nuovo stile - molte sono ancora in costruzione -, dietro le quali appare il borgo storico, dominato dall'altura con il suo castello in pietra.
Mi fermo nuovamente, sulla ghiaia del bordostrada, e osservo la cittadina.
Mi rendo conto di non voler proseguire, di non voler vedere cosa è successo, cosa è cambiato.
Penso che forse, di cambiamenti tangibili o intuibili oggi ne ho visti fin troppi, e mi rallegro all'idea di riportarmi indietro quest'ultima curiosità, quest'ultimo dubbio...
Che scioglierò, prima o poi, quando mi metterò a caccia di qualche altro paese dimenticato, rimanendo stregato dal suo antico fascino.
Bandito, basta per oggi.
Abbiamo viaggiato solo per una quarantina di chilometri, ma ce li faremo bastare.
Riportami a casa, amico.
Mona a venti, mona avanti